Che cosa si intende per frattura da stress? 

Con il termine di frattura da stress si intende una frattura dovuta a microtraumi ripetuti che si verificano su un osso normale. Deve pertanto essere ben distinta dalle fratture da insufficienza (frequenti nel calcagno), che sono tutte quelle fatture che si verificano a seguito di un trauma ma su un osso patologico, come quello osteoporotico, quello irradiato, infetto o neoplastico. 

Fratture da stress

Le prime fratture da stress furono descritte nel 1855 da Breithaupt, un chirurgo militare Prussiano che le osservò nei militari con dolore ai piedi dopo marce estenuanti.

Oggi le fratture da stress rappresentano circa il 2% di tutti i traumi degli sportivi e si stima che circa il 40% degli atleti ne abbiano avuto almeno una nel corso della loro carriera. 

Le fratture da stress si verificano quando i microtraumi ripetuti causano un carico eccessivo sull’osso che supera la sua capacità riparativa

In teoria qualsiasi segmento osseo può essere colpito, ma per ovvie ragioni gravitazionali, le ossa degli arti inferiori sono le più rappresentate (95%).

In particolare, è l’osso corticale ad essere più colpito e questo è dovuto alla sua ridotta capacità riparativa rispetto all’osso midollare. 

Le sedi più colpite da frattura da stress in ordine di frequenza sono: la tibia, il femore, le ossa metatarsali, le ossa del tarso, la pelvi ed il perone. Nei soggetti in fase di accrescimento possono verificarsi anche avulsioni apofisarie, come quelle della tuberosità ischiatica, della spina iliaca antero-superiore, antero-inferiore e della cresta iliaca. 

 

Quali sono i sintomi della frattura da stress? 

I sintomi delle fratture da stress non sono specifici, e questo spiega spesso il loro ritardo diagnostico. Dolore e tumefazione sono le caratteristiche più frequenti: il dolore è generalmente accentuato dal carico e dall’attività fisica, fino a diventare presente anche a riposo se la frattura non viene riconosciuta. 

 

Come si esegue la diagnosi di frattura da stress e quali sono i fattori di rischio? 

Come già accennato, purtroppo spesso la diagnosi è tardiva in quanto i sintomi non sono specifici e la radiografia convenzionale può essere negativa. Nel sospetto di frattura da stress l’esame di prima scelta è sicuramente la risonanza magnetica. La scintigrafia ossea può essere di utilità nei casi dubbi ma raramente è necessaria. 

Il sesso femminile è sicuramente un fattore di rischio, in correlazione a disturbi ormonali correlati. Il fumo di sigaretta, l’assunzione di alcool, disturbi alimentari, sono tutti fattori di rischio per le fratture da stress. Le sportive di sesso femminile con la triade dell’atleta hanno un elevato rischio di sviluppare fratture da stress.

  

Che cosa si intende per triade dell’atleta femmina?

 

Triade dell'atleta femmina

Con il termine di Triade dell’atleta femmina si intende la presenza di amenorrea (o disturbi del ciclo mestruale), osteoporosi e disturbi alimentari. Tale triade è stata per la prima volta individuata nel 1992. 

disturbi del ciclo mestruale possono essere definiti come oligomenorrea se il ciclo mestruale avviene ad intervalli maggiori di 35 giorni oppure amenorrea se il ciclo avviene ad intervalli maggiori di 3 mesi. L’amenorrea può a sua volta essere primaria, ossia un ritardo nella comparsa della prima mestruazione (menarca), oppure secondaria, cioè iniziare dopo il menarca. 

Con il termine osteoporosi si intende un deficit sia quantitativo che qualitativo dell’osso: cioè una insufficiente mineralizzazione ed una alterata qualità delle sue proteine. L’osteoporosi è definita come una condizione nella quale l’osso è debole e predisposto al rischio di frattura con carchi normali. Il criterio oggettivo per valutare l’osteoporosi è la densità minerale ossea, che si misura con la MOC, mineralometria ossea computerizzata. I parametri in esame sono due: il T-score e lo Z-score. Il T-score misura la differenza tra la densità ossea del paziente ed il valore medio della popolazione sana di riferimento. Si utilizza per soggetti di età superiore ai 30 anni ed ha un valore normale tra +1 e -1. Se tale valore è maggiore di -1 si parla di osteopenia (cioè una iniziale osteoporosi); se tale valore è maggiore di -2,5 si parla di osteoporosi. Lo Z-score invece misura la differenza tra la densità ossea del paziente e il valore di riferimento della popolazione sana di uguale età e sesso. Un valore Z-score compreso tra -1 e -2 indica una ridotta densità ossea; un valore maggiore di -2 indica osteoporosi. I fattori di rischio per l’osteoporosi sono il diabete, la malnutrizione, i disturbi dell’alimentazione, l’ipogonadismo, la terapia cortisonica e le pregresse fratture.

I disturbi alimentari possono essere di diversi tipi ma i più frequenti sono due: anoressia nervosa, caratterizzata da una dieta restrittiva in cui il paziente vede se stesso come sovrappeso nonostante sia sotto il suo peso forma; bulimia nervosa, in cui il paziente, generalmente normopeso, compie abbuffate e successive purghe compensatorie con lassativi, diuretici vari ed eccessivo esercizio fisico. Il risultato finale è una insufficiente disponibilità energetica, definita come la differenza tra introito energetico ed energia spesa per l’esercizio fisico. L’energia che resta serve per il funzionamento del nostro corpo: quando tale energia è insufficiente si innescano dei meccanismi fisiologici per ridurre al minimo il mantenimento cellulare, la crescita e la riproduzione. Questa compensazione ridimensiona l’energia disponibile per promuovere la sopravvivenza, compromettendo  allo stesso tempo la salute dell’organismo. 

Alcuni atleti riducono la disponibilità energetica aumentando l’esercizio fisico, altri riducendo l’introito energetico. 

Le conseguenze per la salute dell’atleta possono comprendere disturbi cardiovascolari, endocrini, riproduttivi, scheletrici, renali, gastrointestinali e del sistema nervoso centrale. Ad esempio il calo estrogenico conseguente all’amenorrea può comportare riduzione della vasodilatazione periferica con insufficiente perfusione muscolare, stress ossidativo dell’osso e secchezza vaginale. 

L’incidenza della triade dell’atleta femmina varia a seconda delle statistiche, con un range di 1-4%: Al contrario i singoli disturbi della triade hanno delle incidenze molto più alte: si stima che i disordini alimentari siano presenti nel 30-60% delle atlete; i disturbi del ciclo mestruale possono arrivare al 69%, l’osteopenia può colpire fino al 50% delle atlete, mentre l’osteoporosi fino al 13%. 

Lo screening e la diagnosi della triade dell’atleta è possibile e consiste in check-ups annuali che comprendano anche un esame clinico, alla ricerca di segni diretti di tale patologia, come peso, altezza, body-mass index, massa grassa e massa magra e segni indiretti come la secchezza vaginale (indice di ipoestrogenismo indotto dall’amenorrea). L’anamnesi del paziente è fondamentale, per andare alla ricerca di disturbi alimentari, irregolarità del ciclo mestruale, pregresse fratture. 

Se un paziente ha una diagnosi di triade dell’atleta deve essere seguito da un team multidisciplinare che comprende uno psicologo (per andare alla ricerca di quali possono essere le cause dei disturbi alimentari ad esempio), un dietista, un endocrinologo (per eseguire esami ematici mirati che devono escludere una amenorrea secondaria ad altre cause come la sindrome di Cushing, tumori prolattino-secernenti, una gravidanza, una sindrome dell’ovaio policistico ecc.) e un preparatore atletico per ridistribuire i carichi di lavoro.

Non vi sono evidenze scientifiche sull’efficacia della terapia ormonale, né dei bifosfonati per il trattamento dell’osteoporosi in questi pazienti. Anzi, è importante evitare i bifosfonati perché possono restare nel corpo della donna per diversi anni e causare malformazioni fetali ad una successiva gravidanza.

La terapia migliore consiste nel ripristinare la regolarità del ciclo mestruale ed aumentare la densità ossea aumentando l’apporto energetico fino ad almeno 45kcal/kg. La supplementazione di calcio e vitamina D è fortemente consigliata, oltre che un buon apporto proteico. In alcuni casi anche gli antidepressivi possono essere utili. 

 

Esiste un modo per prevenire le fratture da stress? 

Si, esiste una prevenzione anche per le fratture da stress. Il punto di partenza consiste nell’eliminazione di tutti i fattori di rischio. Quindi è necessario eliminare il fumo di sigaretta, l’alcool, correggere difetti di dismetria degli arti inferiori con supporti ortesici, correggere i disturbi alimentari ed una eventuale osteoporosi associata, ridistribuire al meglio i carichi di lavoro nel corso della settimana. Il supplemento di calcio e vitamina D è controverso, così come l’uso dei bifosfonati.  

 

Qual è la terapia migliore delle fratture da stress? 

Terapia delle fratture da stressIl trattamento dipende ovviamente dalla fase in cui viene diagnosticata la frattura (edema midollare – iperostosi corticale – frattura) e dal tipo di osso coinvolto. Il primo approccio è quasi sempre conservativo, a meno che non si tratti di fratture scomposte a carico del collo del femore.

La prima cosa da fare consiste nella riduzione dell’attività sportiva fino a raggiungere una condizione di benessere, associando un adeguato programma riabilitativo per mantenere un buon tono muscolare e cardiovascolare. La terapia farmacologica migliore è l’acetaminofene (i FANS sono sconsigliati perché in alcuni studi animali possono inibire la guarigione ossea).

La biostimolazione ossea (elettrica o con onde elettromagnetiche) è di controversa utilità, anche se spesso prescritta in quanto innocua e poco costosa. Nei casi particolarmente dolorosi può essere indicato l’utilizzo delle stampelle, soprattutto per le fratture degli arti inferiori. 

Le fratture da stress a prognosi peggiore sono quelle del collo del femore, potenzialmente instabili ed esposte al rischio di pseudoartrosi se sottovalutate. La localizzazione più frequente nel femore è la corticale mediale dei 2/3 superiori, dove c’è una notevole concentrazione di forze, in particolare nella zona compresa tra l’inserzione del vasto mediale e dell’adduttore breve. 

 

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